Il nome del villaggio, attestato come Lagoranum deriva da lagorae, le bassure acquitrinose che si formavano lungo il torrente.  L’urbanistica di Langhirano era modellata dall’acqua: il borgo era allungato e tagliato in due in direzione ovest-est da un corso d’acqua, il rio Scalìa, con le due sponde collegate da un ponticello all’altezza della zona nota come Rocchetta – in origine una serie di isolati lunghi e paralleli di chiara origine medievale e la cui funzione difensiva era garantita da alte murature e dal rio stesso. Ben presto, sul lato opposto, venne costruito l’oratorio di San Giacomo. Le abitazioni erano inoltre circondate da una rete di canali che costeggiavano gli edifici, funzionando da lavanderie naturali, e alimentavano i molti mulini. Il più celebre tra i mulini era quello detto “del Vescovo”. Il più antico è invece quello della Fabiola. Perfino i santi venerati a Langhirano sono tutti legati alle acque: per la Madonna del Canale parla il nome; San Giovanni Nepomuceno è un santo che fu martirizzato nelle acque della Moldava; San Giacomo, infine, era il protettore dei pellegrini per eccellenza e la sua tutela era tradizionalmente ritenuta efficace soprattutto negli attraversamenti dei tratti di mare. Le modalità dello sviluppo urbano erano inevitabilmente condizionate dalla presenza di peculiari corti chiuse, alle quali si accedeva attraverso un arco di passaggio.

Il Palazzo Municipale di Langhirano 

Il nucleo originario dell’attuale Palazzo Municipale di Langhirano fu costruito per il Capitano del Vescovo, durante il governo del Vescovo Grazia (1224-1236).  Nel 1358 il Vescovo di Parma Ugolino Rossi ottenne il feudo ed i suoi possedimenti che dopo alterne vicende, nel 1512, passarono al Marchese Galeazzo Pallavicino.  Nel 1660 Ranuccio II Farnese concesse Langhirano alla famiglia dei Conti Garimberti che intervennero sulla struttura del Palazzo definendo l’impianto architettonico dell’edificio attuale.                  I Garimberti mantennero i diritti feudali sino alla loro abolizione, sancita da Napoleone nel 1806.  Nel XIX secolo l’edificio fu poi acquistato dalla famiglia Montali che, successivamente, lo alienò ai Ferrari i quali, il 4 marzo 1889, lo vendettero all’Amministrazione Comunale di Langhirano per la somma di 17.000 lire. 

Il Palazzo si sviluppa su pianta quadrata, con quattro torri poste alle estremità, la simmetrica facciata principale si innalza su tre livelli fuori terra.  Nella parte centrale è presente un alto porticato a tre arcate a tutto sesto, retto da colonne in arenaria coronate da capitelli dorici, sormontato da un analogo loggiato al piano superiore, mentre in corrispondenza del sottotetto sono poste tre piccole finestre quadrate delimitate da cornici.  Ai lati si elevano i due torrioni, che presentano aperture in corrispondenza dei tre livelli della struttura, mentre, a ridosso della copertura, sono collocate piccole finestre ovali.  L’opposto prospetto ad est è speculare alla facciata e presenta un identico porticato con loggiato sovrastante, i due torrioni laterali ed una scalinata a doppia rampa.

Sala dei Tartari

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All’interno del Palazzo Municipale, al piano terra, si trova il salone principale decorato a riquadri con soggetti ornamentali, risalenti principalmente alla prima metà del XIX secolo ed eseguiti a secco con tecnica pittorica mista. Al centro del soffitto a volta si trova un interessante lampadario in vetro di Murano.

Alle quattro estremità della sala, al di sopra delle porte che consentono l’accesso agli ambienti contigui, sono raffigurati alcuni castelli del parmense. Entrando dall’ingresso principale, sulla sinistra, è riconoscibile il castello di Montechiarugolo. Proseguendo poi in senso orario troviamo: il borgo ed il castello di Compiano, il castello di Torrechiara, che è individuabile sulla porta da cui si accede all’attuale Sala della Giunta Comunale, dedicata alla memoria di alcuni illustri cittadini Langhiranese, e da ultimo, un edificio che pare presenti alcune assonanze con il castello di Bardi.

Nel salone sono esposte sei tele, dipinte ad olio, raffiguranti ciascuna un cacciatore Tartaro (Tatari o anche Tartari: gruppo etnico di origine turcica dell’Europa Orientale e della Siberia). Le figure sono rappresentate in abbigliamento di volta in volta differente, in atto di trattenere per il collare un cane che, nella sequenza dei soggetti, diventa sempre più irrequieto e feroce, così come è sempre più minaccioso e gravido di nubi il cielo sullo sfondo.

I soggetti dei dipinti collocati sulla parete sinistra, entrando dall’ingresso principale, si stagliano contro uno sfondo paesaggistico montuoso, mentre quelli della parte destra sono inquadrati entro arcate a tutto sesto, in controluce. L’interpretazione iconografica tradizionale identifica nelle tre figure a sinistra rispettivamente il Dominio, la Caccia e la Guardia, mentre nelle tre a destra il Pericolo, le cui avvisaglie vanno facendosi sempre più incombenti.

Allo stato attuale non sono ancora state definitivamente chiarite provenienza ed epoca d’acquisizione dei dipinti, databili con molta probabilità alla seconda metà del XVII secolo. La critica propende per l’assegnazione delle tele al pittore genovese Giovanni Francesco Cassana (Cassana 1611 ca. – Mirandola 1690), sottolineando convincenti assonanze di stile con le opere conosciute dell’artista.

“La Principessa di Matalidulo”

C’era una volta su una collina che si affacciava su un lago il castellano di Matalidulo.

Egli aveva una figlia giovane e bella, che amava la natura, le passeggiate nei boschi e…vicino al lago ai piedi della collina.

Ma il padre non permetteva che si allontanasse dal castello e faceva buona guardia.

Un giorno arrivò un principe che voleva sposare la principessa di Matalidulo.

Fu grande festa al castello.

Si organizzarono pranzi, giochi e battute di caccia.

Anche alla principessa fu concesso di uscire dai cortili con il promesso sposo;  insieme galopparono nei boschi e si fermarono vicino al lago.

La principessa, felice, volle raccogliere i fiori che crescevano sulla sponda.

Scese da cavallo, ma avvicinatasi troppo alle acque, scivolò e cadde nel lago.

Il principe tentò di salvarla, ma non riuscì ad afferrarla…

La principessa sparì sott’acqua.

Il castellano fece prosciugare il lago, ma della figlia non si trovò traccia.

Si trovò invece una rana…una rana dai grandi occhi azzurri, come quelli della principessa…

Dove c’era il lago crebbero erbe, piante e arbusti.

Alcuni pastori costruirono li le loro capanne: fondarono un villaggio che si chiamò Lagorano, in ricordo del lago e di quella rana che era stata una principessa.

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Renata Tebaldi

Renata Tebaldi interpreta Cio-Cio-san in Madama Butterfly.

Renata Tebaldi è stata il soprano italiano più importante del melodramma del secolo scorso. La su voce era di una bellezza e purezza estremamente rare, dolce e allo stesso tempo corposa e potente.

Nata a Pesaro il 1° febbraio 1922, all’età di appena 9 mesi la mamma Giuseppina Barbieri la riportò con sé a Langhirano, il suo paese, dove Renata trascorse l’infanzia e la giovinezza nella casa ancora presente in piazza Garibaldi. Compì i primi studi musicali presso il conservatorio “Boito” di Parma e successivamente si specializzò al conseravtorio “Rossini” di Pesaro.

Esordì nel mondo dell’opera il 23 maggio 1944 a Rovigo come Elena nel “Mefistofile” di Boito. A soli 24 anni venne prescelta da Arturo Toscanini per il concerto inaugurale del Teatro alla Scala di Milano, ricostruito dopo la guerra. Fu proprio il maestro Toscanini a parlare di “Voce d’Angelo”, epiteto che da allora in poi la identificherà. In carriera interpretò tra le altre Mimì, Desdemona, Aida, Maddalena, Cio-Cio-san e tante altre, ma anche personaggi del repertorio barocco e moderno.

Affermatasi nei maggiori teatri mondiali, dal 1955 al 1973 è stata membro effettivo della Metropolitan Opera House di New York: “Miss Sold Out” per gli americani, ha la sua stella sulla Walk of Fame di Hollywood. Fu amata “Regina” del Teatro San Carlo di Napoli e concluse la sua carriera nel 1976 con un memorabile concerto alla Scala.

Renata Tebaldi morì a San Marino il 19 dicembre 2004 e ora riposa nella cappella di famiglia nel cimitero di Mattaleto di Langhirano, che nel 2022 si fregia di una targa marmorea a lei dedicata.

Renata Tebaldi scherza con Salvato Dalī.
Renata Tebaldi, Rudolf Bing (direttore del Metropolitan Opera in New York), Maria Callas.

Faustino Tanara

Faustino Tanara nacque in frazione Manzano di Langhirano il 10 gennaio del 1831. Studiò nel seminario di Berceto, ma ne uscì presto per partecipare con i Mille alle campagne militari di Giuseppe Garibaldi. Affiliato alla Giovane Italia, conobbe Giuseppe Mazzini che lo chiama “amico fraterno”.[1]

Nel 1859 entra nei Cacciatori delle Alpi col grado di sergente. Dopo la dichiarazione di guerra all’Austria, partecipa ai combattimenti di Casale Monferrato, Varese, San Fermo e Laveno. L’8 giugno riceve il battesimo del fuoco a Seriate: comandando con particolare capacità il reparto a lui affidato, si meritò l’ammirazione dei superiori; il generale Cosenz, comandante la Brigata, lo abbracciò fraternamente e il suo nome fu citato all’ordine del giorno come esempio di valore. La sua carriera prosegue fino al maggio del 1860 quando decise di parti re da Quarto per partecipare all’impresa dei Mille. Combatté a Marsala e Calatafimi, dopo di ché fu promosso capitano di fanteria. Dopo aver liberato la Sicilia i Mille risalirono lo stivale e, all’ingresso a Napoli, Tanara venne citato all’ordine del giorno e promosso al grado di Maggiore.

Alla conclusione dell’impresa dei Mille tornò a Langhirano, dove si adoperò, su raccomandazione di Garibaldi, per la costituzione a Langhirano e Parma di società di tiro a segno, intese ad addestrare i giovani nell’esercizio delle armi. Il 6 dicembre 1863 si sposò con Virginia Costa e l’anno dopo ebbe una figlia, alla quale diede il nome Teresita, lo stesso della primogenita di Garibaldi.

Dopo il trattato di alleanza con la Prussia (aprile 1866) e la dichiarazione di guerra all’Austria, riprese le armi, fu ferito prima al braccio destro e poi in pieno petto, ma si ristabilì completamente. In dicembre del 1866 venne nominato Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia. Nel 1867 fu ancora a fianco di Garibaldi nella marcia su Roma. Tornato a Langhirano, essendo un progressista divenne un sorvegliato speciale del governo conservatore, subendo più volte fermi e perquisizioni. Nel 1870 partecipò con Garibaldi alla campagna dei Vosgi e gli venne assegnato il comando della 1ª Legione italiana, che in seguito fu chiamata in suo onore Legione Tanara. Per decisione di Garibaldi fu promosso Colonnello. Per le prove di valore date in diverse battaglie fu insignito della Croce di Cavaliere della Legion d’onore.

Al termine delle sue imprese di guerra si ritirò nei suoi campi di Quinzano a fare l’agricoltore. Quando morì all’età di 45 anni, Garibaldi inviò un commosso telegramma alla vedova:
La perdita del valoroso nostro fratello d’armi Col. Tanara, dei Mille, è certamente una delle più sensibili nella gloriosa falange. Milite di tutte le pugne per la libertà italiana, la Nazione e il Governo devono ricordarsi di lui.“.

A Langhirano è stato fondato il “Museo del Risorgimento Faustino Tanara”, che raccoglie documenti e cimeli dell’epoca risorgimentale donati nel 193o dalla figlia e poi da altre famiglie degli altri 28 garibaldini langhiranesi. https://www.prolocolanghirano.it/wp-content/uploads/2020/11/Guida-Langhirano.pdf

A Parma gli è intitolato viale Faustino Tanara, un tratto della circonvallazione interna parallelo a viale Mentana.

Note

  1. ^ A. Barilli, Lettere inedite di Garibaldi e di Mazzini a Fausto Tanara, in Aurea Parma, 1929.

Bibliografia

  • Roberto Lasagni, Dizionario biografico dei Parmigiani, ed. PPS, Parma 1999
  • L. Barbieri, Faustino Tanara dei Mille, Langhirano, 1926

Emma Agnetti Bizzi

Maria Emma Giacomina Agnetti nacque il 28 febbraio del 1882 a Langhirano da Arturo medico piemontese e Carlotta Ferrari zia di Giacomo Ferrari antifascista ministro dei trasporti nel 2° governo De Gasperi e senatore della Repubblica. Sposò l’architetto Arturo Bizzi ed ebbe due figli. Ma la sua vita non si esaurì nel ruolo di figlia, moglie e madre: fin da piccola in casa sua non mancavano mai ospiti a pranzo e lei stessa amò la vita di comunità e la convivialità tanto da fondare e recitare nella Filodrammatica langhiranese, suonare il piano e la chitarra e divenire abile cuoca.

Filodrammatica langhiranese, 1915, Emma al centro in abito bianco.

Ospitale e generosa radunava le amiche per preparare le verdure da conservare per l’inverno a beneficio della mensa dei poveri, preparava gelati per tutti i bimbi con la frutta del suo orto per festeggiare l’ultimo giorno di scuola e organizzava gite di gruppo fuori porta.

Colta e attivissima, si dedicava ai problemi sociali divenendo presidentessa della Società di Mutuo Soccorso con Cassa di Maternità, promuovendo il Comitato per il Sostegno delle Famiglie dei Combattenti e dei Reduci della 1° e poi 2° Guerra Mondiale. Fu sostenitrice dell’Asilo Infantile e fautrice della fondazione della Casa di Riposo, che però non riuscì a veder nascere.

Nel 1954 prese in gestione la Biblioteca Popolare langhiranese (la cui sede attuale porta il suo nome), che ospitò al piano terra della sua casa, occupandosi dei prestiti e degli acquisti e della cura dei libri. https://www.prolocolanghirano.it/wp-content/uploads/2020/11/Guida-Langhirano.pdf

Nel 1955 fu insignita dal Presidente della Repubblica del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e morì nel 1960, assai compianta.

Ne esce il quadro di una donna carismatica ed estrenmmente moderna, aperta al nuovo ed alla gente, una figura che emerge altissima dal piccolo borgo.

Bibliografia

• Comune di Langhirano, Ricette: del primo novecento, Torriazzi, Parma, 2016.